Fremont
Fremont non solo è un delicato film sull’immigrazione, ma anche una descrizione cinematografica di un profondo percorso trasformativo attraverso competenze di coaching avanzate.
Spero di riuscire a spiegarmi. Non ne sono certo: tenterò.
“Famous blue raincoat” è il titolo sia di una poesia di un grandissimo poeta, che di una canzone di un immenso cantautore, entrambi scomparsi sette anni fa, a novembre.
Si chiamavano Leonard Cohen.
Se cerchi su Google il significato del testo, troverai immancabilmente qualcosa del tipo: poesia in forma di lettera, che tratta di un triangolo amoroso terminato da tempo. E, se cerchi bene, troverai anche nomi e cognomi, luoghi e date.
Ciò mi riporta alla mente un’intervista a Bob Dylan degli anni ’60, in cui l’artista sostanzialmente affermava che tutti – fan, colleghi, giornalisti, critici, scrittori – erano sempre prontissimi ad interpretare i suoi testi. Con unico inconveniente: nessuno aveva mai colto neanche alla lontana il vero significato e le vere intenzioni delle sue strofe.
Torniamo a “Famous blue raincoat”: il compagno ufficiale scrive all’altro lui, mentre lei è sempre e solo in sottofondo. Sono trascorsi anni e l’io narrante è ancora in compagnia di lei, mentre chi ha tradito è ormai desolatamente solo.
Perché oggi ti voglio parlare di questo capolavoro di Leonard Cohen? Innanzitutto perché non si vive di solo pane. E poi perché, quando ascoltai “Famous blue raincoat” per la prima volta, fui pervaso da un doppio, intensissimo sentimento: una sensazione di sublime accompagnata da uno straniante senso di smarrimento.
La ascoltai, la riascoltai, poi ancora una volta leggendo contemporaneamente il testo, per accertarmi di aver compreso tutte le parole e, infine, ne cercai il significato sul web. E ciò che vi trovai non mi convinse per niente. Da qui altro smarrimento.
Però, l’attrazione era forte e, pertanto, continuai ad ascoltare, fino a che mi giunse un’intuizione: il grande impatto che il testo aveva su di me nasceva dal fatto che la poesia appariva sensata ai miei occhi, alla mia sensibilità, solo se vista come un mirabile esempio di dialogo interiore tra due sé dell’io narrante (o forse proprio dell’autore).
Da qui la forte attrazione verso il testo e da qui l’iniziale disagio, tipico di chi si confronta con un enigma: sì, così tutto tornava!
Un Sé, generalmente rinnegato, aveva trovato, in un determinato periodo del passato, la forza o l’opportunità di esprimersi, di salire sul palco; una parte trasgressiva, animalesca, sensuale, primordiale, empatica, rapace. E ciò aveva provocato, comprensibilmente, uno sconvolgimento anche su Jane, la compagna del protagonista, alterando i rapporti di coppia.
Esprimendosi, questa “voce” aveva dimostrato di fatto che certe sofferenze, certa cupezza di Jane non erano invincibili, ma potevano essere gestite, compensate, allontanate, curate proprio da quell’energia, sì preesistente, immanente, ma fino a quel momento inespressa. Questo era il dono e il significato del suo passaggio, del suo affiorare, del suo palesarsi.
“And thanks for the trouble you took from her eyes
I thought it was there for good so I never tried.”
Poi, la vita era rientrata nei binari, le varie parti si erano ricomposte, riconoscendosi nei loro ruoli, vantaggi e supremazie: l’assassino, ormai lontano, era diventato fratello, il nemico amico. Ma il lascito di quel ladro gitano, di quel ladro di donne era ancora lì, presente, a distanza di anni e lui, ormai silente, non mieteva più vittime: il poeta lo descrive alla stazione, vestito con un impermeabile logoro in attesa di donne che non scenderanno dal treno o, se lo faranno, non sarà per lui…
E la parte un tempo tradita ed ora “vincente” arriva persino ad incitare l’altro sé a considerare che da troppo tempo vive sterilmente, in un casa solitaria, spersa nel deserto; quasi un invito a manifestarsi di nuovo.
Visto così, il testo acquisiva un significato profondo, una valenza psicologica, una grandezza umana. Per me, ovviamente. E spiegava i troppo stridii di un’interpretazione tanto letteraria, quanto forzata.
Nel tuo personale “Famous blue raincoat”, quali energie si confronterebbero?
Quali sarebbero i loro ruoli?
E quale sarebbe il lascito ancora visibile del passaggio del Sé rinnegato?
P.S.: Ovviamente, ti consiglio caldamente di ascoltare “Famous blue raincoat”; trovo meravigliose le esibizioni di Leonard Cohen a Londra nel 2008 e a Dublino nel 2014, nonché le versioni di Glen Hansard, soprattutto quella con l’accompagnamento di Javier Mas.
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