Già in questa maestosa epopea di oltre quattromila anni fa, la serpe diventa emblema di immortalità e ciclicità; magari sbaglio, ma sento che l’origine dell’uroboro è proprio in quel serpente anticamente descritto sull’argilla, con caratteri cuneiformi. Ebbene, eccoci al protagonista di oggi: l’uroboro è un simbolo presente da millenni in numerosissime culture, che lo raffigurano come un serpente o un drago che si mordono la coda, formando un anello. Tra gli innumerevoli significati che gli si possono attribuire, tre sono quelli che considero più strettamente connessi alla sua natura intrinsecamente sistemica:
- l’uroboro come simbolo di dualità e opposizione, una sorta di Tao dinamico, che unisce gli opposti in una danza come quella compiuta dal cane che cerca di mordersi la coda;
- l’uroboro come simbolo dell’eterno ritorno, di continuità senza fine, di eterna ciclicità tra inizio e fine, nascita e morte, di connessione e fusione con il Tutto;
- l’uroboro come simbolo di rigenerazione e ricostituzione: il serpente e il drago mangiano la propria coda, continuando a vivere proprio perché si cibano delle proprie esperienze e dalla propria consapevolezza.
In ambito più strettamente sistemico e costellativo, l’uroboro ben rappresenta il ciclo di interazioni all’interno dei sistemi familiari; e, aggiungo io, dei sistemi aziendali su un piano macro e dei sistemi individuali su un piano micro, pensandoci come una comunità di Sé (come ci insegnano Jung e il Voice Dialogue). Il concetto-chiave sottostante è il seguente: considerare il sistema – quale che sia – nella sua interezza, nelle sue interazioni, nei suoi scopi, piuttosto che concentrarsi unicamente o prioritariamente sugli elementi, sui problemi, sui “sintomi”.
Visto così, l’uroboro rappresenta la chiusura circolare delle dinamiche sistemiche, dove ogni nostra azione o interazione ha un impatto sul sistema nel suo insieme e influenza gli altri componenti del sistema in cui siamo immersi, creando un ciclo di interazioni costantemente rinnovato. Ciò, ovviamente, è anche alla base della creazione dei pattern, schemi di comportamento ripetitivi, che possono arrivare a propagarsi anche tra le generazioni.
Il nostro compito come coach sistemici è identificare i possibili pattern, riproporli ai nostri coachee e chiedere loro se questi schemi siano ancora funzionali, come quando vennero creati. Se la risposta è negativa, con le modalità proprie del coaching, il coachee individuerà pattern più aggiornati e funzionali e pianificherà le necessarie azioni per agirli.
Ecco perché, da sempre, l’uroboro, nella sua millenaria, evocativa pregnanza, è per me il simbolo per eccellenza dell’approccio sistemico.
Concludo citando Eraclito, che, in un’affermazione circolare come l’uroboro e che dà le vertigini, scrisse: “Tutte le cose sono Uno e Uno tutte le cose”…