Torniamo allə “ə”. Lo dice anche l’Accademia della Crusca: eliminando le desinenze, restano dei mucchi di lettere e pezzi di parole non più in relazione tra loro, svuotate di significato. Così come, mutatis mutandis, il negare le differenze annulla le persone, le storie e i significati di cui sono portatori e di certo non le include, così l’uso dello schwa non risolve un bel niente, ma crea confusione e imbarazzo, pur auto-assolvendo chi lo impiega.
Sono certo che molte persone utilizzano lo ə in buona, anzi in ottima fede. Penso a un mio splendido coachee e a due miei chiarissimi colleghi, per esempio. Ma il punto a cui sono molto sensibile non è formale, è sostanziale: sostituire “a”, “e”, “i”, “o” e “u” con “ə” significa semplificare, banalizzare, togliersi gli scrupoli, usare e farsi usare da un simbolo, archiviare una questione grave e seria con un semplice cambio di vocale, che – e questo è un altro tragico paradosso – non appartiene neanche a noi, alla nostra storia e al nostro alfabeto. Come dire: adottare una soluzione che non esiste. Lo stesso vale per l’asterisco e la “u” utilizzati allo stesso scopo, ovviamente.
Troppo facile. Ben altra cosa è impegnarsi a diffondere una consapevolezza di genere. Ben altra cosa è denunciare discriminazioni in atto, che da noi sono quotidiane e visibili. Ben altra cosa è approfondire. Ben altra cosa è aprire tavoli, dibattiti, ma non teorici: pratici! E non tra burocrati, politici, capi del Personale del tipo di quello citato poc’anzi, ma nella società, nelle scuole, con gli amici, i parenti, i colleghi.
E noi coach rappresentiamo senza alcun dubbio un modello di ruolo in questo contesto; basta ricordare che la bellissima e potentissima guida rappresentata dalle “ICF Core Competencies” culmina nella competenza denominata: “Facilitates client growth”. Una precisa responsabilità di noi coach a essere partner dei nostri coachee anche nell’integrazione delle nuove consapevolezze, delle intuizioni (insight) e degli apprendimenti nella loro rinnovata visione del mondo e nei loro nuovi comportamenti.
E chi come me non considera il coaching come un semplice mestiere, ma lo vive come un approccio generale alle relazioni, una forma mentis, ecco che questo impegno lo può e lo deve esplicare anche fuori dalla sessione di coaching, ovvero nella vita familiare, sociale, nel lavoro, nelle relazioni.
Delle volte sono pensante, me ne rendo conto … Allora chiudo con un po’ di leggerezza:
« Pe pe
Pe pe pe pe pe pe
Zazuera, zazuera.
A, e, i, o, u, ypsilon »
Lo vedi che neanche nella canzone c’è lo schwa?
Qual è il tuo punto di vista a riguardo?
Cosa pensi del mio?