In termini generali, la controintuitività si riferisce all’idea che spesso le soluzioni efficaci ai problemi possono andare contro ciò che potrebbe sembrare intuitivo e logico in una determinata situazione. La ricerca di nuove prospettive e strategie inusuali può essere più vantaggiosa rispetto all’applicazione di soluzioni convenzionali: tanti sono gli esempi forniti nel testo.
Degno di nota è anche il concetto delle tentate soluzioni, ovvero di quelle “soluzioni” che di fatto soluzioni non sono, perché non generano alcun effetto benefico. Però, con l’intento di ottenere a tutti i costi un successo, esse vengono ripetute e amplificate, anziché abbandonate e sostituite con nuove strategie, e ciò aumenta il problema che inizialmente avrebbero dovuto risolvere.
Certo, oltre alla comunicazione, esistono altri fattori determinanti nei problemi comunicativi e nella resistenza al cambiamento, come quelli di natura culturale, caratteriale e psicologica; per tale motivo, il libro potrebbe sembrare troppo di parte. E quando parlo di culturale intendo non solo l’educazione e la cultura dei soggetti coinvolti, ma anche e soprattutto la cultura del contesto, particolarmente importante negli ambiti aziendali ed organizzativi. A onor del vero, però, non possiamo tralasciare il fatto che Watzlawick ha dedicato vasta produzione scientifica ad altri aspetti della “soluzione dei problemi”, fornendo teorie e tecniche più prettamente psicologiche e di ampia portata.
Ti ricordi ciò che scrissi su “Le sette regole per avere successo” di Covey? Grazie a quel testo ho compreso in profondità il concetto di “win-win”, rendendolo un pilastro del mio vivere; parimenti, da “Change” ho acquisito una comprensione più ampia e non polarizzata della comunicazione, delle relazioni e delle opinioni. Il risultato? Entrare e muovermi in un’arena in cui il paradosso, la costruttiva coesistenza di punti di vista contrari, la controintuitività, la diversità sono elementi di ricchezza e non di censure, semplificazioni, paure, chiusure, guerre…
Chiudo con un breve brano, che, per linguaggio e contenuti, riporta la mia memoria al fondamentale “Pragmatica della comunicazione umana”: Watzlawick avverte che la manipolazione e l’influenzamento non solo non sono necessariamente cattivi, ma soprattutto sono inevitabili.
“E infatti come evitarla [l’influenza], purtroppo, non ce l’ha mai spiegato nessuno. È difficile immaginare come un comportamento qualunque che ha luogo in presenza di un’altra persona possa evitare di essere una comunicazione del proprio punto di vista sulla natura della propria relazione con quella persona e come si possa quindi fare a meno di influenzare tale persona. L’analista che siede in silenzio dietro il paziente disteso sul divano o il terapeuta non-direttivo che ripete “semplicemente” le espressioni verbali del suo cliente esercitano un’enorme influenza proprio con quel comportamento soprattutto perché partono dal presupposto che tale comportamento non eserciti “nessuna influenza”. Il problema, dunque, non è come si può evitare di influenzare o di manipolare, ma come tali interventi vanno intesi e usati nell’interesse del paziente.”