Benché il concetto sia contro-intuitivo, a mio avviso il negare – di proposito, per svariati motivi di ottimismo, fede politica, superficialità o opportunismo – che ci siano differenze tra esseri umani, gruppi, culture e comunità all’insegna dell’imperante political correctness crea effetti deleteri. Negare evidenti, inevitabili e necessarie diversità porta infatti a un pattern pericoloso e sterile, non facendole nei fatti affrontare, discutere, comprendere e, col tempo, integrare. Quindi, tale posizione NON solo NON promuove l’uguaglianza, ma amplifica divergenze, che generano a loro volta conflitti più o meno aperti e visibili. Insomma: si tratta di una forma di violenta cecità, altroché di daltonismo, per restare nella metafora!
E poi c’è anche un effetto secondario, visibile cambiando prospettiva: chi si sente non riconosciuto nella propria intrinseca unicità e nelle proprie peculiari caratteristiche può alla lunga subire una vera e propria crisi di identità (così presente nelle seconde generazioni di immigrati, per esempio), percependo un divario frustrante tra ciò che è e sente di essere, il sistema in cui vive, ciò a cui magari tenta di conformarsi e lo sguardo degli “altri”.
Dov’è la soluzione? Nella consapevolezza, secondo me! Consapevolezza su ciascun fronte: da parte del gruppo maggioritario per riconoscere le differenze, comprenderle e creare ponti. Da parte di chi ha bisogno di comprensione e integrazione e non di negazione della propria diversità, abbandonando pattern passivi o controproducenti. Da parte dei leader e dei maître à penser nel concepire e promuovere nuove soluzioni e politiche aperte e plurali.
E in questa arena il coaching entra dalla porta principale, giocando un ruolo imprescindibile, come sostengo da anni e come è stato anche ampiamente discusso a Genova nei giorni scorsi, attraverso testimonianze dirette e momenti di approfondimento. Come sai, credo fermamente nel ruolo trasformativo del coaching e nel suo grande potenziale di eticità, umanità ed equilibrio, tanto necessario in generale, ma ancor più in un periodo di transizione così turbolenta, come quella in cui siamo entrati qualche anno fa. Lo sviluppo della consapevolezza che avviene nel singolo coachee durante un percorso di coaching può contagiare, trasferirsi ad una comunità sempre più estesa, partendo dalla propria famiglia e dal proprio team, per espandersi a dismisura. Finalmente un virus salubre, necessario…
E la Conferenza Nazionale ha permesso di fare riflessioni sulla diversità, senza banalizzazioni e luoghi comuni: non esiste individuo che sia esattamente identico a un altro in caratteristiche e capacità fisiche, caratteriali e mentali, in sensibilità, attitudini, ambizioni, convinzioni, e così via. E ciò vale per estensione anche per i gruppi e per le comunità.
L’individualità di ciascun essere vivente è intrinsecamente plurale; la diversità è necessariamente ordinaria. Il rischio, l’inganno è confondere il concetto di uguaglianza con l’irrealistica illusione di essere tutti uguali, dimenticando che uguaglianza è sinonimo (mai contrario!) di diversità.
Qual è la tua opinione a riguardo?
Quale elemento mancante caratterizzava l’ultima esperienza di discriminazione a cui hai assistito o che hai subito?
In un mondo ideale, le differenze sono cosa?