Ed è fondamentale farli esprimere, conoscerli, interrogarli.
Per, poi, riconoscerli.
Per conoscerci.
Per riconoscerceli.
Per gestirli.
Per crescere.
[Teniamo sempre presente che essi esistono e si manifestano perché, in passato, hanno svolto un ruolo importante per noi.]
Alla loro esplorazione si può – anzi: si deve! – arrivare in modi sempre personalizzati, seguendo vari percorsi, talvolta imprevedibili.
La gestione di una transizione o di un “aggiornamento identitario”, un lavoro sull’essere non possono, a mio avviso, prescindere da un’attenta valutazione dei principali Sé, dei principali attori che sono presenti nel nostro personalissimo teatro interno, sia che lavorino a favore e contro il cambiamento stesso.
Altrimenti è pura pianificazione di azioni, un lavoro sul fare, che spesso si estingue dopo appena alcuni mesi dalla conclusione del percorso di coaching, per tornare sui passi conosciuti.
E come fare?
Con domande che si rivolgano direttamente a quelle voci, non appena facciano capolino.
Domande che dimostrino grande rispetto.
E sincero interesse, senza moralismi, senza censure.
E così il coachee potrà, per esempio, comprendere cosa si nasconda dietro una contro-intuitiva attesa del proprio stesso fallimento.
O capire quale sia il giudizio che si teme e che si cerca di evitare.
E, da qui, cosa pianificare per poi procedere agilmente.
Ritagliati un momento tutto tuo e, concentrandoti su un tuo proposito, su un tuo progetto importante, domandati:
- Cosa vorrei fare, ma non sto facendo?
- Quale parte di me mi sta rallentando?
- Cosa non ho detto finora, che avrei voluto dire?
- Quale idea o pregiudizio mi sta facendo tacere?
- Chi, dentro di me, sta agendo come un mio alleato?