Perché non si è mai delle monadi, degli atomi solitari, ma si è sempre immersi in un ambiente con le sue regole, norme e valori, si è sempre in interrelazione con altre persone, la nostra comunicazione e le nostre azioni e scelte sono influenzate e influenzano quelle degli altri.
[Piccola anticipazione: degli assiomi della comunicazione umana di Paul Watzlawick parleremo più in là.]
Da qui un altro motivo indiscutibile per prendere in considerazioni le barriere, all’interno delle sessioni di coaching: la presenza di così tante variabili in gioco comporta la necessità di un’attenta valutazione di ciò che potrebbe non andare come si vorrebbe, degli effetti su elementi del sistema, che non avremmo preso in considerazione in prima istanza.
Tutto ciò in un percorso a spirale.
Il lavoro sulle barriere permette – dicevamo – di tornare indietro su ciò che si era pianificato sino a quel momento, modificandolo, arricchendolo, rendendolo più solido.
Nel mio coaching è molto presente questa sorta di check anticipato, anche perché mi chiedo a cosa servirebbe dedicare tempo, energia e denaro per pianificare delle azioni e poi restare ammutoliti ed immobili di fronte a obiezioni o ostacoli, neanche lontanamente ipotizzati, ma spesso facilmente ipotizzabili.
Ho la fantasia delirante di poter prevedere tutto?
Assolutamente no!
Il contrario.
Ma lavorare e imparare a lavorare sulle possibili barriere future ci rende più flessibili e funzionali rispetto a ciò che che potrà accadere, anche se non era stato previsto.
E ciò in generale, anche se quello che accade realmente non è propriamente ciò che si era immaginato ed esplorato in sessione.
Ci si ritrova con una competenza in più, con flessibilità e agilità allenate.
Aggiungo che, soprattutto negli ultimi anni, non c’è stato coachee che non mi abbia segnalato l’utilità del lavoro sulle barriere, affermando che esso è stato una delle chiavi vincenti verso il successo, verso il grande cambiamento auspicato.
Stai pianificando un’azione importante? Soffermati sulle barriere, domandandoti:
- Cosa potrebbe andare male?
- Chi si potrebbe opporre?
E, poi, anche:
- Chi potrebbe venirmi in aiuto?
- Cosa potrebbe avvicinarmi al mio obiettivo?
- Cosa posso modificare nel mio piano di azione, per aumentare le chance di successo?
*: Da questa peculiarità del coaching nasce la centralità del chemistry meeting, ovvero della verifica del giusto “accoppiamento” tra coach e coachee; ma di questo aspetto parleremo poi.
**: “My conscience explodes”, direbbe Bob Dylan. Non posso descrivere l’emozione che ho provato quando, alcuni mesi fa, un coachee, in chiusura di sessione, mi ha detto proprio questa frase, senza conoscere “Visions of Johanna”!